lunedì 3 settembre 2007

Intervista Andrea Accardi

Questa intervista è stata realizzata nel 2003.


K: Sei stato uno dei primi siciliani a lavorare nel mondo dei fumetti, in un periodo in cui la situazione, ancor più di adesso, imponeva di emigrare per il Nord-Italia. Raccontaci come è andata.


AA: Mi sono trasferito a Bologna nel 1989 per fare l’accademia di belle arti, sapevo che lì c’era il gruppo dei Valvoline (Daniele Brolli, Igort, Jori, Lorenzo Mattotti, Carpinteri e altri, NdR), e che pubblicavano ancora La Dolce Vita e Fuego, fra le ultime riviste del genere. Fare l’accademia in realtà era solo un modo per stare a Bologna, alla fine non è che me ne fregasse molto (risata)…

Appena arrivato, tramite amicizie, ho subito conosciuto Massimo Semerano, Otto Gabos e Roberto Marchionni, in arte Menotti (ovvero la nuova generazione di disegnatori bolognesi, contemporanei ad Andrea, NdR).





Poi incontrai Igort durante una specie di seminario sul fumetto in accademia e subito dopo ricordo di essere andato a trovarlo alla Scuola di Fumetto Zio Feininger (mitici corsi serali tenuti perlopiù dal gruppo Valvoline, ricchi di interventi importanti, del calibro di Magnus, Munoz e Sampajo, e frequentati, fra gli altri, anche da Davide Toffolo, Leila Marzocchi, Stefano Ricci, Giuseppe Palumbo, NdR), che non frequentai perché arrivai a corsi già iniziati.


Poco dopo conobbi Barbara Rossi (futura Kappa Boys, NdR), che lavorava per questa casa editrice in erba, la Granata Press, e mi disse che erano alla ricerca di letteristi.

Non capisco ancora come mai, dato che era una cosa che non mi interessava minimamente, ma andai in redazione per fare vedere i disegni a Roberto Ghiddi. A quei tempi disegnavo imitando Go Nagai (il creatore di Devilman e de Il Grande Mazinga, NdR), quindi fui letterarmente distrutto, lui veniva da una scuola francese, segno pulitissimo, bianco e nero molto deciso, e in effetti allora ero proprio limitato…avevo ventidue anni, non avevo fatto nessuna scuola e non conoscevo fumettisti che avessero un po’ d’esperienza. Mi disse: guarda, coi disegni lasciamo perdere, però ci servono dei letteristi.


E cominciai a fare lettering. Non così facilmente, sia chiaro, nel senso che ho fatto un sacco di prove quasi quanto se ne fanno per Bonelli, mi ricordo che riempivo pagine e pagine di carta millimetrata di letterine, non puoi capire quante. Sembra una cosa tipo Karate Kid, dove ti metti a fare dei movimenti che non servono a niente, invece è un’incredibile scuola un esercizio che ti costringe a stare seduto ore al tavolo da disegno.
Iniziai a fare lettering sulle storie che pubblicava la Play Press, poiché allora la Granata le faceva da service.
K: Come letterista, hai vissuto in pieno il cambiamento fra il lettering fatto a mano e quello digitale. Pregi e difetti delle due tecniche.
AA: Quando ha chiuso Granata Press ero rimasto senza lavoro. In realtà avevo già iniziato a disegnare certe cose, tipo Esp, ma non pensavo di trovare regolarmente altri lavori come disegnatore, quindi avevo bisogno di continuare a lavorare facendo lettering, e per fortuna c’era la Marvel Italia. Ho iniziato anche lì a mano, per un po’, poi con Marco Ficarra mettemmo sù la RAM; lui era già pratico di computer e mi aveva proposto di provare, dato che in Granata esisteva il font Accardoni, da me disegnato, ma che aveva realizzato qualcun’altro, e che mi feci dare come regalo di buona uscita (risata).

La differenza…dunque, all’inizio ti sembra tutto molto più semplice, e in teoria lo è, solo che col computer puoi lavorare molto di più, per cui il tempo che guadagni lo spendi facendo altre tavole. Io, comunque, non ce la facevo proprio più a farlo a mano, era diventato quasi un ossessione…l’ultimo lettering a mano che ho fatto credo siano stati i Power Rangers (risata).

K: Aiutaci a ricostruire la tua carriera non-ufficiale, prima di Progenie d’Inferno, prima di Mondo Naif, prima di Esp (i lavori che ti hanno reso noto al grande pubblico). Che tipo di gavetta hai fatto?

AA: Mentre facevo il lettering per Granata, lavorando inizialmente a casa, cambiarono sede e mi chiamarono all’interno, poiché a Roberto serviva un tuttofare. Stando lì dentro, dunque, era facilissimo per loro chiedermi un disegno e per me era facilissimo farli vedere, sono stato molto fortunato per questo, infatti avevo sempre qualcuno a cui fare vedere tutte le cose che facevo, oltre al fatto che per la redazione passavano sempre molti disegnatori.Le prime cose realizzate per la pubblicazione furono per Kaos, Roberto la considerava la palestra dei disegnatori esordienti, e in effetti lo era, e io inizai là. Disegnai un mucchio di illustrazioni per i racconti…



K: Però io mi ricordo certi disegnini su Mangazine…

AA: Minchia, sei assurdo (risata). E’ vero, le prime cose furono quelle, c’era questa specie di Devilman col braccio alzato…
Roberto chiedeva questi disegnini a me e a Vanna Vinci, forse anche ad Andrea Baricordi.

K: Leggi abitualmente fumetti? Quali sono gli artisti che segui maggiormente in questo momento?
AA: Sai che non so che dirti (risata)? L’ultima cosa che ho letto, non perché pubblicata dai Kappa, è Isaac il Pirata di Christophe Blain, questo francese bravissimo…mi piacciono davvero molto le storie che scrive. Mi piace moltissimo anche Blutch, l’autore di Peplum e Mitchum. In realtà ce ne sono ancora molti altri, ma non mi vengono in mente….
Ecco, 20 Century Boys, di Naoki Urasawa, secondo me è veramente bello, disegnato benissimo, con una storia bellissima…

K: Con Massimiliano De Giovanni, lo sceneggiatore di Gente di Notte (la saga avviata sin dal primo numero di Mondo Naif), stai trattando a fumetti temi inusuali (in Italia) come l’omosessualità. Pazzo di Te (l’ultimo volume uscito della saga) ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica. Senti che è cambiato qualcosa nel mercato degli ultimi anni?
AA: Sì, ma non per causa nostra. Credo di essermi infilato in un filone che sta coinvolgendo per intero il mondo del fumetto italiano, secondo me sono solo combaciati certi elementi…credo però che i manga, dove certi miscugli sessuali sono all’ordine del giorno, abbiano spinto parecchio verso questa nuova sensibilizzazione, e, ovviamente, oggi queste storie sono lette dai ragazzi con molta più tranquillità.

K: Recentemente fai un grande uso dei retini, riuscendo a creare atmosfere avvolgenti e affascinanti. Puoi illustrarci nel dettaglio questo passaggio?
AA: Sono sempre stato affascinato dal bianco e nero, ma col tempo, man mano che ripulivo il segno, mi rendevo conto che, non volendo usare il tratteggio, avevo bisogno di trovare una via di mezzo. Il retino a mano era costosissimo, ho quindi pensato di usare il computer, utilizzando Photoshop per mettere i grigi.
Semplicemente lo uso come un secondo colore, non come un retino vero e proprio.
In realtà, per metà è fatto a mano; delimito, infatti, la zona che voglio in grigio col pennello o la matita, la scansiono e poi la inserisco come altro colore.

K: Fra il primo Gente di Notte e Progenie d’Inferno esisteva già una differenza stilistica notevole. Adesso il tuo tratto è ulteriormente maturato. Il cambiamento è dovuto ad una scelta precisa o più semplicemente è stata una normale evoluzione? Hai cambiato strumenti per disegnare o lavori sempre con lo stesso metodo?
AA: Ho iniziato lavorando col pennino e sono passato veramente da tutto, dal pennarello al pennello…in Progenie d’Inferno utilizzavo il pennino, in Esp, per esempio, c’era molto pennarello, alcuni episodi di Gente di Notte sono con i pennarelli, poi ho usato il pennello, anche in Pazzo di Te, poi ho usato il pennarello-pennello…penso sia stata un’evoluzione naturale, anche se la spinta maggiore l’ho subita disegnando gli episodi successivi al primo Gente di Notte, perché mi rendevo conto che il tratto che avevo non c’entrava molto col tipo di storia che stavo facendo, e mi sforzai un pò in quel passaggio, nel senso che ci ho ragionato, il resto però è venuto più naturalmente.

K: Sei entrato a far parte della scuderia di John Doe (il nuovo serial dell’Eura Editoriale pensato dalla coppia Bartoli/Recchioni). Leggenda narra che per essere un disegnatore Eura si debba produrre tavole in quantità industriale! Scherzi a parte, hai dovuto adattarti a nuovi ritmi? A parte Esp, i tuoi lavori sono sempre stati contraddistinti da una certa indipendenza, hai dovuto, dunque, affrontare nuove (o diverse) difficoltà?
AA: Mi hanno chiesto di non fare la gente che fuma le sigarette (risata).
L’unica costrizione nel disegnare John Doe la faccio in automatico, nel senso che non posso disegnare i personaggi come quelli delle storie con Massimiliano, ma non è una vera e propria costrizione, perché per me è semplicemente provare a fare qualcosa di nuovo.
Riguardo il ritmo, anche con Massimiliano decido sempre di disegnare all’ultimo mese, per cui sono abituato a una certa fretta…

Adesso con John Doe ho davvero poco tempo (il numero disegnato da Andrea, con sceneggiatura di Roberto Recchioni, uscirà a novembre, NdR), lavoro molto più freneticamente e uso il pennello in maniera veloce, non solo per il poco tempo, ma anche perché voglio provare a vedere come lavoro in questo modo.
K: Ricapitoliamo. Disegni fumetti per le Kappa Edizioni, per l’Eura Editoriale, continui il tuo lavoro di letterista per la Panini Comics…oltre a svelarci il segreto dell’ubiquità, cos’altro stai facendo? Progetti segreti? Sogni nel cassetto?
AA: Il mio sogno nel cassetto è un fumetto sulle guerre puniche; vorrei realizzare la storia di un’amicizia fra questo personaggio, un legionario, un soldato, un ragazzino…ancora non lo so…la storia di un’amicizia fra questo personaggio e un elefante, durante il periodo delle guerre puniche, la prima, dove ci sono sia battaglie navali che terrestri. Mi sono molto documentato, ho tutto il materiale che mi serve, ho anche diviso la storia in due libri, non ho fatto la sceneggiatura ma ho suddiviso il soggetto in scene, però non ho mai il tempo per farlo, ma vorrei riuscirci…

K: Come procede una tua classica giornata di lavoro?

AA: Dopo aver completato il lettering, che devo assolutamente fare sia perché le consegne sono molto strette e sia perché paga il mio mensile (risata), disegno nel tempo che rimane, che può essere la mezza giornata, come oggi, o soltanto la sera.
K: Forse è solo un caso, ma non ho mai visto qualcosa di tuo a colori. E’ una scelta o non ti ci sei mai ritrovato?
AA: Non so colorare molto bene. D’altronde quesi nessuno fa le cose a colori adesso, visto che costa tanto. Ho provato a colorare alcune tavole dell’ultimo libro per la Francia, a computer, nulla di definitivo. A Jacopo Camagni (prossimamente in libreria con Le Amiche Giuste, sceneggiato da De Giovanni, NdR) vengono meglio…

K: Hai realizzato uno degli albi dell’esperimento Lupin III Millennium, ma nei tuoi disegni si è sempre notato un certo gusto derivato dal manga e dagli anime (ovviamente non nella forma, ma in alcune soluzioni grafiche). Deformazione professionale (sei in barca coi Kappa Boys fin dal primo numero di Zero, per la Granata Press), o nascondi un vero amore per lo stile orientale?
AA: Praticamente posso dire di esser nato con i cartoni animati giapponesi, quindi è inevitabile. Ho dovuto fare parecchi sforzi per togliermi da quel filone, anche se non ci sono ancora riuscito del tutto…mi piacciono ancora!
K: Quale passaggio della realizzazione di una tavola a fumetti ti appassiona maggiormente?
AA: Lo storyboard mi piace molto!

K: Che consiglio puoi dare ad un giovane siciliano che vuole intraprendere la carriera del fumettista?
AA: Partire è il minimo, dopo, magari, ritorni, ma prima devi partire.
Un po’ quello che dico ai ragazzi che mi fanno vedere i disegni…anzitutto si deve disegnare tanto, perché è l’unica cosa che ti fa crescere, disegnare tanto, guardare sempre, copiare gli altri, copiare, copiare, copiare. Poi, stringere delle relazioni sociali con le persone che fanno fumetti o che leggono fumetti, creare delle catene…é l’unico modo per conoscere e farsi conoscere. Certo, può capitare il colpo di fortuna di essere bravissimo, andare alla casa editrice e sentirti dire “cavolo, pubblichiamo subito”, ma credo che questo avvenga veramente in rari casi, il più delle volte sono lunghi rapporti che poi vengono premiati con la pubblicazione, non perché sei meno bravo, ma semplicemente perché entri…e diventi!

Sergio Algozzino & Quirino Calderone
Capaci, 2003

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